San Martìn de Porres ( 3 novembre) |
![]() |
![]() |
![]() |
Scritto da Administrator | |||||||||
Pagina 3 di 4
Innumerevoli sono gli esempi di guarigioni da tutte quelle malattie che, anche sotto l'influsso del clima della regione e aggravate dalla scarsità di nozioni d'igiene e dall'assenza di medicinali appropriati, si sviluppavano in modo virulento: morbillo, scarlattina, paralisi, febbri quartane ed eruttive, coliti e infiammazioni intestinali, scorbuto, scabbia, emorragie. Martìn de Porres non si fece santo d'un colpo, né divenne perfetto sviluppando solo le doti particolari ricevute sin dalla nacita, costruì lentamente la sua santità, tentando varie vie, soffrendo insuccessi (che gli agiografi volentieri dimenticano), arricchendosi interiormente attraverso preghiere interminabili, penitenze durissime, esercizio continuo di pazienza, d'umiltà, di lavoro faticoso, soprattutto di amore per gli infelici. Il nucleo centrale della sua spiritualità è certamente improntato all'esempio di San Domenico che vende i suoi libri per riscattare un poverello, che si sferza di notte per il suo prossimo. Fra' Martìn dedicò tutto il tempo libero di cui disponeva ai disgraziati, al sottobosco della miseria d'ogni colore. Egli non riusciva a capacitarsi come in una città dove l'oro scorreva a fiumi e da cui passavano tonnellate d'argento, non ci fosse alcuna organizzazione assistenziale per gli orfani, non un ospedale, non un ricovero per i senza tetto. Si dedicò quindi a una forma di carità pubblica imparziale, al di là di ogni discriminazione o d'ogni legalità, così che, secoli dopo, i suoi connazionali non hanno esitato a proclamarlo 'Patrono della giustizia sociale nel Perù'. L'Aiutante cominciò ad occuparsi dei poveri che ogni giorno sfilavano a mendicare alla porta del convento: indios, spagnoli, meticci, negri, stranieri falliti, disoccupati, vecchie in miseria. Raccoglieva i resti del refettorio, ci metteva l'intera sua porzione, che gli passavano i frati, domandava aiuto a chi frequentava la chiesa. In questo modo aumentava il contenuto di un pentolone che distribuiva sorridendo, appena il frate portinaio andava a fare la siesta. Un altro aspetto importante è il rapporto che Martìn aveva con gli schiavi che lavoravano a centinaia nelle coltivazioni di cotone, o con gli ex-schiavi. Come figlio di una schiava, il nostro mulatto si sentiva partecipe delle sofferenze dei suoi fratelli incatenati al giogo come bestie. Andava a visitare quei suoi amici prediletti, portava loro regali, si intratteneva con loro, specie alla sera, li consolava, cantava e pregava con loro, sorrideva sempre a tutti. Oltre ai negri che lavoravano nei pressi della città, ai quali accudiva con frequenza, aveva da curare vari gruppi di negri e liberti ai quali riservava vestiti, leccornie, frutta tropicale e corone del rosario, fatte con bacche rosse. I padroni non si opponevano alla sua presenza perché, dicevano, "..vale più di un veterinario". Ottenne di poter devolvere l'eredità che gli lasciò morendo il cavalier Juan de Porres verso il 1625 o 1626 agli ex-schiavi. Rimane poi una pagina bianca da riempire: la sua attività nascosta e silenziosa in favore anche degli schiavi fuggitivi che si raccoglievano nelle 'huacas', cioè nei luoghi occulti delle sepolture incaiche disseminati nella pianura del Rimac."
|